23 Febbraio 2014

Stessa patologia, diverso trattamento, per il federalismosanitario

La riforma del titolo quinto della Costituzione ha avuto molti effetti ma tra i tanti uno è meno conosciuto di altri: il federalismo medico. Da anni assistiamo ormai a una esasperata regionalizzazione della sanità, causa di gravi disuguaglianze nell'accesso alle terapie mediche, e le malattie rare ne sono purtroppo un esempio negativo. Alcune malattie sono riconosciute dall'elenco nazionale delle patologie rare, stilato molti anni fa, mentre molte altre no: questo significa che migliaia di pazienti non possono ottenere il riconoscimento della loro condizione, restando così esclusi dai programmi nazionali di assistenza e dall'esenzione del ticket sanitario. A questo grave danno hanno cercato di porre rimedio alcune Regioni, in particolare Toscana e Piemonte, aggiornando localmente il loro elenco: iniziativa più che lodevole ma che evidenzia le limitazioni del federalismo sanitario. Così un paziente di Biella con una data malattia è esente, ma se lo stesso cittadino risiedesse a pochi chilometri di distanza, a Milano, ad esempio, non lo sarebbe più. Non solo. A queste disuguaglianze si aggiungono quelle dei tempi estremamente difformi per la commercializzazione dei nuovi farmaci innovativi, su cui ogni Regione vuole dire la sua, l'estrema e irragionevole difformità per l'identificazione dei centri di riferimento per la diagnosi e cura, i cui criteri di riconoscimento non appaiono sempre chiaramente intellegibili. E ancora non basta. Recentemente una Regione ha addirittura ritenuto di dover definire dei criteri per la rimborsabilità di un farmaco per una malattia rara, costoso ma importante, diversi da quelli definiti dall'Aifa e recepiti da tutte le altre Regioni. Così avremo anche cure diverse a seconda di dove risiede il paziente e al federalismo sanitario e alle sue molte criticità si sovrappone addirittura un federalismo delle cure e dell'assistenza, un assurdo per un Paese che si vorrebbe civile. Qualcosa non va e forse è ora che, quando si parla di rivedere la poco felice riforma del titolo quinto, si discuta anche di questo.

Harari Sergio

[Fonte Corriere della Sera]