L’epidemiologo Sergio Harari spiega come dovrà essere il ritorno alla normalità dopo la fine della pandemia di Covid: l’intero assetto sanitario deve cambiare per sempre

06 Aprile 2021

È passato oltre un anno da quando le nostre vite sono cambiate con una rapidità e una profondità che nessuno avrebbe potuto immaginare. Noi stessi facciamo fatica a ricordare cosa accadde solo pochi mesi fa. Ognuno ha nascosto nel profondo della memoria un’immagine che più di altre evoca la realtà che abbiamo vissuto. La mia è quella di Andrea Bocelli che canta Amazing Grace sul sagrato del Duomo, altri ricorderanno la preghiera di Papa Francesco davanti a una piazza San Pietro drammaticamente deserta, altri ancora ne potranno avere una personale o più intima, ma basta avere il coraggio di rievocarle per avvertire un tremito profondo dentro di noi.

I segnali di rassicurazione
Non è andato tutto bene come ci dicevamo nelle tenebre per aiutarci a farcela. Un anno dopo l’Italia è un Paese più disgregato e povero che mai nella storia del dopoguerra, segnato da lutti e da una disastrosa crisi economica. Fin da quando i primi due casi di turisti cinesi si registrarono a Roma ho sempre cercato di essere il più razionale possibile, soprattutto quando ho consegnato alle pagine di questo giornale le mie riflessioni, un pragmatismo che purtroppo non ha fatto intravedere molte note positive, e anche oggi i dati epidemiologici restano drammatici. Tuttavia, per la prima volta dall’inizio della pandemia, vedo una luce. Spero di non sbagliarmi, ma il riconoscere finalmente una strategia nazionale nella campagna vaccinale con un programma di successive graduali e caute riaperture è un segnale di grande rassicurazione.

La convivenza con il virus
I vaccini presto arriveranno, le capacità produttive aumenteranno, il fattore limitante diventerà a breve solo la capacità di implementare e accelerare la campagna vaccinale. Dopo l’estate i problemi saranno legati a quella fetta di popolazione che per ragioni varie non sarà vaccinata (ricordiamoci che oggi non abbiamo nessuna possibilità di immunizzare i più giovani), a chi malgrado il vaccino non svilupperà una adeguata immunità, a chi verrà infettato dalle varianti e agli scettici. Il tema dell’obbligatorietà delle vaccinazioni diventerà allora di attualità. I malati nei prossimi mesi si ridurranno così come calerà la mortalità, anche grazie alle nuove terapie in arrivo, ma lo scenario a lungo termine sarà quello di una forzosa convivenza con il virus, in una situazione endemica il cui andamento epidemiologico sarà dettato dall’emergere di nuove varianti, dai nostri comportamenti (le mascherine purtroppo ci accompagneranno ancora per non pochi mesi) e da una campagna vaccinale che rischia di diventare permanente se è vero che l’immunità ha una limitata durata temporale.

La regia nazionale è indispensabile
L’assetto sanitario cambierà radicalmente rispetto a prima della pandemia, dovremo imparare a sfruttare sapientemente la flessibilità dimostrata dai nostri ospedali, che dovrà diventare strutturale. Questi mesi ci hanno insegnato che non si può andare in ordine sparso e, senza ledere le autonomie regionali, una regia nazionale è indispensabile per la gestione della sanità, il governo sembra essersene ben reso conto imprimendo una accelerazione centrale determinante alla campagna vaccinale.

L’importanza di scuola e sanità
In tutta la pandemia è emerso chiaramente come scuola, sanità e economia siano strettamente e indissolubilmente legate e sappiamo bene come il nostro Paese abbia dedicato a questi settori cruciali per la nostra crescita risorse minime e del tutto irrisorie rispetto agli altri Stati industrializzati e agli standard dell’Unione Europea. Sono decenni che scuola e sanità ricevono solo le briciole e i rimasugli dei bilanci nazionali, oggi ne paghiamo le amare conseguenze. Gli ospedali sono i capisaldi della resistenza all’attacco virale, il Servizio Sanitario Nazionale ha ben dimostrato, malgrado tagli e riduzioni, la propria fondamentale funzione, grazie alla forza, competenza e abnegazione del suo personale che ha pagato un caro prezzo alla pandemia. Andrà ulteriormente rafforzato e ripensato, pianificando una nuova organizzazione, e necessiterà di investimenti anche in ricerca, proprio quelli che sono mancati in tanti anni (gli IRCCS, peculiarità nazionale mai sufficientemente valorizzata, sono una forza determinante del SSN), mentre il territorio sarà un ambito tutto da costruire mattone su mattone.

Corriere della Sera - Sergio Harari