Il 29% degli ospedalizzati per Covid ha avuto una ricaduta che ha portato a un altro ricovero. La sfida di diagnosi precoci dopo aver superato il virus

12 Aprile 2021

Non si vede ancora la fine della pandemia che già un altro peso, non meno imponente, si affaccia all’orizzonte, quello dei cosiddetti «long Covid», ovvero degli effetti a lungo termine dell’infezione su chi ha superato la fase acuta. Un recente studio pubblicato sul British Medical Journal presenta dati sui quali sarà bene riflettere per tempo e con attenzione. Nella ricerca inglese sono stati messi a confronto 47.780 soggetti dimessi per SARS CoV 2 dagli ospedali di quel Paese durante la prima ondata con la popolazione generale, bilanciando per età, sesso, etnia e vari fattori di rischio. I risultati sono preoccupanti: il 29,4% dei pazienti ospedalizzati per Covid ha avuto entro 140 giorni dal primo almeno un altro, successivo, ricovero, e di questi il 12,3% è deceduto. Non solo, il rischio di sviluppare problemi respiratori in chi era stato ricoverato una prima volta per Covid rispetto alla popolazione generale era moltiplicato per 6 (il 30% dei dimessi ha sviluppato disturbi polmonari), quello di sviluppare diabete per 4,8, problemi importanti cardio-vascolari per 4,8, di sperimentare malattie renali di 1,5 e epatiche di 0,3. I danni non erano circoscritti solo a chi aveva più di 70 anni, anche i più giovani pagavano un caro prezzo all’infezione virale. E questo non è l’unico studio che segnala numeri e percentuali di questo tipo; sebbene quelli pubblicati in precedenza si riferissero a casistiche numericamente meno importanti, i dati non erano significativamente diversi.

In una recente indagine effettuata su 1.775 veterani americani che erano stati ricoverati per Covid-19, è risultato che il 20% è andato incontro a un secondo ricovero e il 9% di questi è deceduto entro due mesi dalla dimissione. Un’altra ricerca statunitense ha documentato come chi ha subito un ricovero per questa malattia virale abbia un rischio molto aumentato di sviluppare problemi renali, diabete, ictus, embolie polmonari, miocarditi e altro ancora. L’insieme delle nostre attuali conoscenze conferma quindi che il SARS CoV 2 non causa danni solo ad alcuni organi come i polmoni ma è una vera propria malattia sistemica che coinvolge tutto l’organismo e che le ripercussioni possono registrarsi anche a distanza di settimane e mesi dal superamento della fase più acuta. E tutto questo limitandosi solo ai malati che hanno avuto un ricovero, senza considerare tutti quelli che hanno sviluppato la malattia in forma più lieve e si sono curati a domicilio ma del cui futuro di salute nulla ancora sappiamo. Infatti sono ancora pochissimi gli studi sugli effetti a lungo termine dell’infezione su questa popolazione. Un interrogativo di salute che potrebbe avere importanti ripercussioni, considerate le decine di milioni di casi registrati in tutto il mondo.

Ci aspetta quindi una grande sfida che sarà rappresentata dalla presa in carico di tutti questi pazienti, dal loro screening e dalla diagnosi precoce delle possibili manifestazioni post-Covid. La nostra sanità nazionale, anche per affrontare questa nuova realtà, necessita di finanziamenti molto significativi (non si sente più discutere del Mes come ha ricordato Ferruccio de Bortoli), di una nuova organizzazione, e di una adeguata e tempestiva programmazione, senza le quali pagheremo tutti un elevato prezzo di salute.

Corriere della Sera - Sergio Harari