La composizione del difficile puzzle di una diagnosi necessita di qualcosa di fondamentale: il fattore umano

20 Gennaio 2019

Spesso si ritiene che un esame radiologico o del sangue possa permettere una diagnosi ma non è proprio così. Una PET o una TAC forniscono informazioni importantissime ma che prese da sole non possono consentire una conclusione diagnostica. Gli straordinari traguardi delle più moderne apparecchiature hanno distorto la percezione della medicina che non è fatta solo di tecnologia, la composizione del difficile puzzle di una diagnosi necessita di qualcosa di fondamentale: il fattore umano.

Facciamo un esempio pratico: la raccolta anamnestica, le classiche domande che si fanno ai pazienti, quanti anni ha, se ha fumato o meno, se la sua famiglia ha avuto malattie come il diabete o di altra natura, sa ha subito esposizioni ambientali o lavorative e ancora se ha sofferto per malattie pregresse, oltre naturalmente ai sintomi che hanno condotto il malato alla nostra attenzione, restano fondamentali per inquadrare il percorso diagnostico del paziente. Una cosa è se una paziente giovane, non fumatrice e senza storia di malattie importanti in passato si presenta con un dolore al torace, febbre, e un addensamento alla radiografia del torace, un’altra è se un signore di una certa età, forte tabagista, presenta anche lui un dolore toracico e un addensamento polmonare ma senza febbre e accusando un recente cambio del timbro della voce. Nel primo caso si approfondiranno gli esami nel sospetto di una situazione infettiva, nel secondo di una tumorale. Eppure entrambi avevano un addensamento alla radiografia. Anche gli esami del sangue sono aiuti preziosi se inseriti in un percorso clinico che li contestualizzi, così anche qui una VES aumentata nel caso della nostra giovane paziente potrà avere un certo significato, mentre la stessa VES avrà un altro valore nel signore forte tabagista.
La TAC ci fornisce la descrizione morfologica delle lesioni ma non ci può dare la diagnosi, se non in casi molto particolari. Orienterà il clinico a approfondire gli accertamenti in una certa direzione che sembrerà più probabile rispetto a un ventaglio di ipotesi (vengono chiamate diagnosi differenziali) formulate in base all’insieme dei dati raccolti.
La PET, invece, è come se desse il colore alle immagini forniteci dalla TAC. Per esemplificare è come se in un quadro la TAC disegnasse le forme e la PET le colorasse di toni più o meno intensi. Una PET positiva non vuole dire necessariamente un tumore ma solo che in quell’area ci sono delle cellule attivate; anche in una polmonite o in una tubercolosi si registrano forti positività, senza tuttavia che queste siano condizioni neoplastiche.

Scriveva il grande matematico e fisico francese Henri Poincaré: “La scienza è fatta di dati, come una casa di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa”. E questo vale anche per la medicina. Il web, poi, è una straordinaria fonte di informazioni ma diventa pericoloso quando queste vengono astruse dal contesto più generale. Infine, nella pratica medica quotidiana esiste ancora qualcosa che non è “evidence based” cioè basato su solidi dati scientifici ma che tutti sappiamo essere tuttora molto importante, sebbene difficilmente misurabile: il senso clinico, un misto di esperienza e “fiuto clinico”. Un grande cardiologo americano Michael LaCombe scriveva a questo proposito: “I medici migliori sembra che abbiano un sesto senso per la malattia. Ne avvertono la presenza, ne percepiscono la gravità prima che qualunque processo intellettuale possa definirla, catalogarla e rivestirla di parole”.
Informarsi attraverso il web o i siti qualificati come quello dei Forum del Corriere Salute è oggi facile e accessibile a tutti ma è bene, quando si pone un quesito, corredarlo con le informazioni salienti e interpretare le risposte considerando tutti i limiti che può avere una consultazione indiretta.

[Dott. Sergio Harari - Corriere della Sera / Salute, pag. 52 - Domenica 20 Gennaio 2019]