In molti si sono chiesti come sia stato possibile che la situazione sia precipitata così improvvisamente dopo che sembrava che “il peggio” fosse passato.

04 Maggio 2025

In molti si sono chiesti come sia stato possibile che la situazione sia precipitata così improvvisamente dopo che sembrava che “il peggio” fosse passato. Ma la sua traiettoria clinica rispecchia quella comune a moltissimi anziani ricoverati nei nostri ospedali.

Quando quasi nessuno se l’aspettava più, se n’è andato improvvisamente e in silenzio, senza rumore, senza lo stridore delle sirene delle ambulanze e le luci dell’ospedale. Forse l’unico che se lo aspettava era proprio lui, Papa Francesco, almeno a giudicare dai suoi gesti recenti, tutti rivolti a salutare il suo popolo tanto amato, come se fosse l’ultima volta. Ed è stata l’ultima.
Eppure pensavamo che il peggio fosse passato dopo la dimissione dal Gemelli, il lento ma progressivo recupero, le sue prima apparizioni pubbliche, l’abbandono dell’ossigeno. Poi l’evento imprevisto e imprevedibile.
Papa Francesco se n’è andato come molti nostri grandi anziani, rendendocelo, anche in questo, ancora più vicino. Un lungo ricovero, accudito da grandi medici che hanno cercato di fare tutto quanto era loro possibile per superare la grave polmonite, con bene a mente le indicazioni del paziente di evitare qualsiasi accanimento terapeutico, niente “eroismi” medici inutili, e poi l’ictus, subito gravissimo ed irreversibile.
 
Come è potuto succedere proprio quando stava meglio, si chiedono in tanti?
 
In queste settimane sono state molte le voci che hanno cercato di interpretare il quadro clinico di Papa Francesco sulla base dei bollettini medici ma oggi, con maggior distacco dalla cronaca e grazie alle dichiarazioni postume dei medici che l’hanno assistito, abbiamo qualche elemento di valutazione in più e la situazione è un po’ più chiara.

Il Papa, come noto, era portatore degli esiti di un intervento al polmone effettuato in giovane età per una tubercolosi, non sapevamo invece che fosse anche portatore di bronchiectasie, una condizione che spiega molte cose: la gravità della polmonite polimicrobica di cui aveva sofferto durante il lungo ricovero al Gemelli e il suo affaticamento respiratorio che durava ormai da tempo. A ciò si aggiunga il diabete di secondo tipo (quello più comunemente conosciuto come “dell’anziano”), un fattore predisponente molto importante per infezioni e che non ha certamente facilitato il lavoro dei medici e l’azione degli antibiotici.
Perché poi l’ictus? Non esiste una relazione diretta tra la malattia che ha condotto il Papa al ricovero e l’evento finale della sua vita, ma indiretta sì. Le infezioni respiratorie causano, infatti, nei mesi successivi alla loro risoluzione un aumento degli eventi cardio-cerebrovascolari. Nei pazienti che soffrono di BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), ad esempio, una riacutizzazione infettiva raddoppia nei 5 giorni successivi alla risoluzione del quadro il rischio di infarto cardiaco e aumenta del 40% il rischio di ictus nei 10 giorni successivi.

Una recente metanalisi della letteratura che ha incluso studi per un totale di 276.109 pazienti che avevano sofferto di una polmonite acquisita in comunità (quelle più frequenti e non contratte in ospedale, come quella di Francesco), ha documentato che nelle settimane successive alla risoluzione della infezione il rischio di infarto, ictus, eventi cardiovascolari in genere e di mortalità, è triplicato. I meccanismi sono molteplici e vanno dall’infiammazione sistemica a cui va incontro l’organismo, al sovraccarico a cui il cuore deve far fronte per affrontare la situazione respiratoria, all’alterazione dei normali meccanismi di coagulazione.

La grande e vera malattia del Papa era, però, comune ad almeno 3,5 milioni di italiani ultraottantenni: la vecchiaia. Una condizione di fragilità in cui un equilibrio precario può rompersi da un momento all’altro. Così un soggetto che conduce una vita normale, o quasi, passa in poco tempo dal benessere alla non autosufficienza. O, come è successo a Francesco, dalla vita alla morte, magari proprio quando un evento grave di salute sembra superato. Accade ogni giorno nelle corsie ospedaliere che parenti ci interroghino su come mai il loro congiunto che fino a pochi giorni prima stava bene ed era autonomo è precipitato in una condizione ben diversa per una improvvisa malattia, talvolta di per sé non molto grave, ma è l’equilibrio che si rompe. E così può succedere anche che, quando uno scoglio sembra superato con successo, poi tutto si infranga contro un nuovo problema, ancor più grave, come è accaduto al Papa.
È come se non si riuscisse più a tenere tutto insieme, come se il puzzle che compone il delicato equilibrio del corpo si fosse definitivamente scompaginato.

C’è poi un’altra lezione da trarre dalla malattia di Papa Francesco che potrebbe sembrare scontata ma non lo è affatto: la medicina non è onnipotente, si possono avere i medici migliori e le cure più attente ma poi per chi è credente c’è Dio, per chi non lo è il destino. Bisogna imparare ad accettare la malattia, la morte e i limiti, che sono ancora molti, della moderna medicina.

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