Le cure


Fino a qualche anno fa non esistevano delle cure specifiche ed efficaci per i malati di IPF. I pazienti venivano curati con farmaci a base di cortisone (che riduce l'infiammazione che può essere presente a livello polmonare). In alcuni casi, lo steroide era associato a farmaci che diminuiscono le difese immunitarie (come l'azatioprina e la ciclofosfamide). Solo una piccola percentuale di malati, però, traeva giovamento da queste cure, probabilmente quei pazienti che non erano affetti dalla vera IPF ma da forme di fibrosi simile.
Nelle persone di età inferiore ai 65 anni, quando la cura medica non portava benefici, il trapianto polmonare rappresentava l'unica concreta valida alternativa.
Fortunatamente la ricerca scientifica ha fatto passi in avanti e nel corso degli ultimi 10-15 anni sono stati condotti diversi studi randomizzati, multicentrici, internazionali ed in doppio cieco (quindi studi scientificamente ben condotti) che hanno permesso di arruolare un elevato numero di pazienti e che hanno valutato l'efficacia di diversi farmaci.

Questo grande sforzo di ricerca ma anche economico ha portato alla recente approvazione di due farmaci antifibrotici (pirfenidone e nintedanib) da parte di EMEA (Agenzia Europea del Farmaco), FDA e AIFA che hanno dimostrato di rallentare la progressione dell’IPF.
Il pirfenidone è una molecola con svariate proprietà anti-proliferative, anti-infiammatorie ed anti-ossidanti. Approvato già nel 2008 in Giappone in seguito ai risultati positivi di uno studio giapponese, gli studi europei ed americani (studi CAPACITY) hanno confermato un rallentamento nella progressione della malattia ed hanno portato all'approvazione del pirfenidone da parte dell'EMEA come primo farmaco indicato nella terapia della fibrosi polmonare lieve/moderata in Europa nel 2011. AIFA ha recepito le direttive di EMEA nel 2013 autorizzando la terapia con pirfenidone in Italia nei pazienti con IPF con meno di 80 anni e con forme lievi/moderate (con valori spirometrici di FVC ≥ 50%, DLCO ≥ 35% ed in grado di percorrere almeno 150 metri al test del cammino).
Il nintedanib (BIBF 1120)  è una piccola molecola che inibisce l’attività di alcune tirosinkinasi  (con una selettività particolare per il recettore del fattore di crescita dell’endotelio vascolare, del fattore di crescita delle piastrine e dei fibroblasti) che intervengono  nella patogenesi della malattia. Questa molecola ha dimostrato prima in uno studio di fase 2 (studio TOMORROW sulla tossicità del farmaco) di ridurre in modo significativo gli episodi di esacerbazione acuta di malattia e rallentare la progressione della malattia; quindi in uno studio di fase 3 sull’efficacia della molecola (studio INPULSIS) ha confermato il rallentamento nella perdita di FVC. Il nintedanib è stato approvato da EMEA nel 2015 e da AIFA ad aprile 2016. AIFA ha autorizzato la terapia con nintedanib nei pazienti con IPF con FVC ≥ 50% e DLCO ≥ 30%.
Entrambi i farmaci hanno dimostrato un buon profilo di tollerabilità anche nell’assunzione a lungo termine.
Effetti collaterali più frequenti sono: diarrea (principale effetto collaterale del nintedanib), nausea, vomito, stanchezza, calo di peso; il pirfenidone inoltre è associato ad eventi di fotosensibilizzazione per cui si raccomanda di evitare l’esposizione solare e, prima di esporsi al sole, una adeguata protezione della cute con creme solari protettive.
Inoltre i pazienti che iniziano una terapia con antifibrotici devono eseguire regolarmente degli esami ematici per valutare la funzione epatica con particolare frequenza (mensile) nei primi 3-6 mesi di terapia.
Studi preliminari suggeriscono che una terapia di associazione con nintedanib e pirfenidone è ben tollerata e potrebbe ulteriormente migliorare il rallentamento della progressione della malattia.
Pirfenidone e nintedanib sono sottoposti ad un particolare regime di controllo da parte di AIFA e possono essere prescritti e dispensati solo tramite strutture ospedaliere riconosciute a livello regionale.
Nelle forme che non rispondono alle terapie antifibrotiche o per i pazienti che non tollerano queste terapie in cronico il trapianto di polmone rimane una soluzione percorribile, nei casi in cui vi è indicazione (tra i criteri per l’inserimento in lista trapianto è necessaria un’età < 65 anni).
La riabilitazione respiratoria è considerata sempre utile per migliorare la performance respiratoria e la tolleranza allo sforzo.
 

Come si cura nel tempo

Il paziente affetto da IPF deve essere inserito in un piano di monitoraggio attento e frequente, con controlli clinico-funzionali periodici (in genere trimestrali o semestrali) che servono per valutare lo stato della malattia, la tolleranza e la aderenza alla terapia. Per progressione di malattia si intende un peggioramento delle prove di funzionalità respiratoria ed in particolare una riduzione della capacità vitale forzata (FVC) ³ 10% e/o della DLCO ³ 15% in un anno.
Anche un peggioramento dell’emogasanalisi, del test del cammino (in termini di desaturazione e/o distanza percorsa) o della sensazione soggettiva di dispnea indicano una progressione di malattia.  È bene inoltre eseguire una HRTC torace annualmente per valutare la progressione radiologica o la comparsa di possibili complicanze (tipo tumore del polmone).
La TAC del torace viene inoltre eseguita in caso di peggioramenti acuti della malattia. In caso di comparsa di comorbidità o complicanze potrebbero rendersi necessarie ulteriori indagini.