Una riforma bipartisan per la salute del futuro. Equità, prevenzione e innovazione perché non si può aspettare

25 Ottobre 2025

La sanità non ha colore, non è di destra né di sinistra, eppure è da sempre uno dei più accesi terreni di scontro politico. È stata oggetto di sottofinanziamento e tagli da parte di tutti i governi negli ultimi decenni. Quasi per miracolo, grazie alla sua straordinaria autorevolezza e al particolare momento di unità nazionale, pochi mesi dopo l’assassinio di Aldo Moro, Tina Anselmi riuscì a far approvare nel dicembre 1978 la legge di riforma del nostro Servizio sanitario (sebbene anche qui ci furono i contrari, PLI e MSI).

La crisi del nostro Ssn è sotto gli occhi di tutti, e nessuno, proclami e retorica a parte, ha soluzioni facili e proposte concrete. Da qui bisogna partire con umiltà e spirito bipartisan per pensare a una nuova riforma che guardi al futuro della nostra salute, termine che comprende non solo la sanità ma anche tutto quello che vi ruota attorno. Abbiamo bisogno di una riforma che garantisca equità di accesso alle cure, eguaglianza della salute e delle terapie a parità di bisogni, dal Nord al Sud del Paese. Paese ancora profondamente diviso non solo nella qualità e accessibilità dei servizi ma addirittura nella aspettativa di vita. Tutto questo è ancora oggi economicamente sostenibile, l’universalismo sanitario è ancora possibile, quando ormai un quarto della spesa sanitaria è privata, out of pocket? La Corte costituzionale ha affermato che la sanità è una “spesa costituzionalmente necessaria”, come ci ricorda il recente libro di Luca Antonini e Stefano Zamagni “Pensare la sanità”, ovvero deve avere priorità assoluta per lo Stato sulle altre voci di spesa, ma come fare?

La nuova legge di bilancio stanzia 2,4 miliardi di euro aggiuntivi per il 2026 rispetto all’aumento già previsto per il finanziamento del Ssn, concentrandosi su nuove assunzioni di medici e infermieri e aumenti salariali. Un punto importante perché i nostri professionisti sono tra i peggio pagati in Europa e l’esodo verso altri paesi va arrestato, ma oltre a più soldi (quelli previsti sono pochi ma sono un segnale nella giusta direzione) bisogna offrire un futuro, prospettive di crescita: ripensare le carriere garantendo guadagni proporzionali al merito.
 
La prevenzione primaria è forse lo snodo principale sul quale centrare le nostre politiche sulla salute, senza questa il sistema diventerà in breve tempo insostenibile. Dobbiamo investire sulla promozione di stili di vita sani, vaccinazioni, prevenzione.
 
La prevenzione primaria è forse lo snodo principale sul quale centrare le nostre politiche sulla salute, senza questa il sistema diventerà in breve tempo insostenibile. Dobbiamo investire sulla promozione di stili di vita sani, vaccinazioni, prevenzione.

Ma questo è solo il punto di partenza.
 
È percepito da più parti come indispensabile un cambiamento di approccio alla gestione del sistema salute, quello tayloristico dei DRG e dei rimborsi a prestazione, strettamente ancorato a valutazioni meramente economiche di risultato sulla singola attività, ha fatto il suo tempo e non rappresenta più la complessità del percorso del paziente e del risultato delle cure, né tantomeno la qualità erogata. Una riflessione in questo senso va fatta, l’aziendalizzazione ha permesso un efficientamento del sistema ma ha anche prodotto distorsioni disfunzionali.

Lo sviluppo di una scuola di specializzazione per medici di medicina generale, perseguita anche dall’attuale governo, è un altro snodo importante per colmare la grave carenza di professionisti sul territorio e garantire loro, anche coinvolgendoli nelle posizioni accademiche, una pari dignità professionale. Ripensare l’assistenza primaria è uno dei punti fondamentali nel riformare il nostro modello sanitario. Sono almeno 20 anni che si discute di continuità assistenziale ma concretamente le esperienze sono poche e isolate, e anche le strutture previste dal Pnrr faticano a decollare, dobbiamo implementare progetti di sanità di prossimità, di assistenza a domicilio (il cosiddetto hospital at home), anche grazie alle nuove tecnologie, per non far gravare tutto il peso dell’assistenza sugli ospedali.
 
Manca in tutto il Paese una rete di collegamento tra ospedali di terzo livello che permetta ai pazienti di accedere alle cure di cui necessitano nella migliore sede possibile, superando barriere regionali fuori tempo, come ad esempio nel campo delle malattie rare, ma non solo.

La digitalizzazione, così come il regolato ricorso alle nuove tecnologie di IA, è indispensabile sia per essere ai passi con i tempi che per garantire un accesso equanime ai dati sanitari, ma anche per dare continuità all’assistenza e permettere risparmi di risorse anche umane oggi sempre più difficili da reperire. Sgravando anche il sistema di un peso burocratico che sta diventando soffocante.

L’assistenza non può più oggi essere slegata dalla ricerca, gli IRCCS devono diventare il perno sul quale fare leva per un rilancio delle nostre importanti risorse professionali. Una ricerca che potrebbe essere meglio indirizzata dal Ministero e che dovrebbe avere come altra colonna portante il mondo universitario.

Non da ultimo va affrontato con coraggio il grande tema della non autosufficienza: oggi 3,1 milioni di persone in Italia versano in condizioni di grave disabilità, il 60% sono donne. La recente legge è ancora in fase di implementazione e a tutt’oggi non sembra aver inciso nel vivo. Bisogna immaginare di introdurre meccanismi di compartecipazione e assicurazione, fin dalla giovane età, facendo attenzione che queste ultime servano a espandere le risorse a disposizione per la copertura dei servizi e non a sganciarsi dall’offerta pubblica.

Infine il privato, la cui partecipazione al sistema sanitario è ormai imprescindibile, va usato e regolato nel suo coinvolgimento nel Ssn, senza falsi ideologismi di una o dell’altra parte, ma in modo pensato e ragionato.

Le differenze regionali vanno abbattute, l’Italia è una e una sola, anche se declinata nelle regioni, e chi vive al Sud ha diritto ad avere le stesse cure dei cittadini del Nord. Un compito non facile ma che andrà affrontato con coraggio.

Il terzo settore fa tantissimo nel nostro Paese, sia nell’assistenza che nella ricerca (si pensi solo allo straordinario impegno di ricerca sostenuto da AIRC, ma gli esempi sono molti), e va riconosciuto e valorizzato con forza.

Negli ultimi mesi qualcosa si è mosso e per la prima volta da molti anni, soprattutto su spinta della Lombardia, si comincia a parlare di una nuova riforma sanitaria che parta dalle Regioni, è una speranza su cui tutti noi nutriamo grandi aspettative.

Foto Unsplash
Tastiera retroilluminata blu in primo piano.