Libertà di sapere. Libertà di scegliere. Diritto di parola

08 Giugno 2016

Difficile parlare di fumo senza rischiare di essere ripetitivi e inefficaci. 
Sì, perché per chi si occupa di campagne di informazione e divulgazione contro il fumo, la situazione è disarmante. Dopo anni di lavoro, di dati, di convegni, di prove scientifiche, di interventi anche normativi importanti, i risultati sono decisamente limitati: nel nostro Paese si contano più di 10 milioni di fumatori, e 4 milioni sono donne. Eppure tutti sanno che il fumo fa male, moltiplica per dieci la possibilità di sviluppare un tumore polmonare, malattia spesso incurabile, ed è la causa di malattie respiratorie e cardiovascolari. Ogni anno oltre 6 milioni di persone muoiono a causa del fumo; solo in Italia sono tra 70.000 e le 83.000 le morti per patologie correlate al fumo. Nonostante tutto, si continua a fumare e secondo le casistiche più recenti è soprattutto tra i più giovani che la diffusione sta aumentando.  Ci aspettano quindi anni con una crescita epidemiologica delle malattie tipiche del fumatore, con i conseguenti costi umani e socio-economici.

C’è da chiedersi se abbiamo sbagliato e dove. Anche l’enorme lavoro per la disassuefazione dal tabagismo, attraverso i centri antifumo, ha dato sinora risultati che definire molto limitati è eufemistico. Solo il 35% dei fumatori italiani dichiara di conoscere i centri antifumo. Nel 2010, nei 300 centri antifumo distribuiti in tutto il territorio nazionale sono stati seguiti 28.000 fumatori. Ancora troppo pochi rispetto al numero di potenziali fumatori che desiderano smettere ma non riescono o non sanno come fare. 
I primi a crederci poco sono, spesso, proprio i dottori, dato che meno di un terzo di chi si rivolge a un centro antifumo è indirizzato da un medico; inoltre, in molti casi prevale la certezza di potercela fare da soli, senza aiuti, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Anche la prospettiva a livello mondiale non è rosea. Se le multinazionali del tabacco hanno perso terreno in America e in Europa, l’hanno ampiamente riguadagnato nei paesi in via di sviluppo: il mercato non è stato intaccato di molto, si è solo spostato geograficamente.

Cosa possiamo fare per invertire la rotta?
Vale la pena di riflettere su quanto è stato fatto e sull’efficacia delle azioni svolte sinora, per mirare meglio le nostre politiche in futuro e concentrarle in modo efficace. E, forse, agire il prima possibile, fin dalle scuole elementari, quando si riesce ancora a colpire l’immaginazione e a educare davvero, dedicare una giornata all’anno in tutte le scuole all’educazione sanitaria e all’importanza degli stili di vita, informare senza terrorizzare ma creando sensibilità e attenzione, senza mai abbassare la guardia, come da anni fa la Fondazione Veronesi.

Ma anche continuare una battaglia politica, tutta in salita, per limitare il fumo in ambienti particolari, come le aree ospedaliere, le aree gioco dei parchi e giardini pubblici, tutelare i molti che sono ancora esposti al fumo passivo, promuovere una tassa di scopo sui pacchetti di sigarette da devolvere alla ricerca e all’assistenza sanitaria, sostenere la diffusione della spirometria, un semplice esame non invasivo che permette di misurare la funzionalità dei nostri polmoni.
La spirometria, in un minuto, fornisce informazioni molto importanti: consente la diagnosi di asma e bronchite cronica ostruttiva, predice anche il rischio cardiovascolare e di sviluppare un tumore polmonare, rappresenta un indicatore completo dello stato della nostra salute.
Solo da una forte azione di sensibilizzazione e prevenzione sviluppata su più fronti, coinvolgendo in prima fila anche i decisori politici, sarà possibile imporsi in una battaglia che è ancora tutta da giocare e, in un giorno non troppo lontano, vincere la guerra contro il fumo.

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